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CANTO DECIMONONO. | 267 |
LXXI.
Risponde l’Indian: la fronte mesta
Deh, per Dio, rasserena, e ’l duolo alleggia:
Ch’assai tosto avverrà che l’empia testa
564Di quel Rinaldo a piè tronca ti veggia:
O menarolti prigionier con questa
Ultrice mano, ove prigion tu ’l chieggia.
Così promisi in voto; or l’altro, ch’ode,
568Motto non fa; ma tra suo cor si rode.
LXXII.
Volgendo in Tisaferno il dolce sguardo:
Tu, che dici, Signor? colei soggiunge.
Risponde egli infingendo: io, che son tardo,
572Seguiterò il valor così da lunge
Di questo tuo terribile e gagliardo:
E con tai detti amaramente il punge.
Ripiglia l’Indo allor: ben è ragione,
576Che lunge segua, e tema il paragone.
LXXIII.
Crollando Tisaferno il capo altero
Disse: o foss’io signor del mio talento:
Libero avessi in questa spada impero;
580Chè tosto e’ si parria chi sia più lento.
Non temo io te, nè i tuoi gran vanti, o fero;
Ma il Cielo, e ’l mio nemico amor pavento.
Tacque; e sorgeva Adrasto a far disfida;
584Ma la prevenne, e s’interpose Armida.