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274 LA GERUSALEMME

XCII.


     Soggiunse poi: la notte a me fatale,
Ed alla patria mia che giacque oppressa,
Perdei più che non parve: e ’l mio gran male
732Non ebbi in lei; ma derivò da essa.
Lieve perdita è il regno; io col regale
Mio alto stato anco perdei me stessa;
Per mai non ricovrarla, allor perdei
736La mente folle, e ’l core, e i sensi miei.

XCIII.


     Vafrin, tu sai, che timidetta accorsi,
Tanta strage vedendo e tante prede,
Al tuo signore e mio, che prima i’ scorsi
740Armato por nella mia reggia il piede:
E chinandomi a lui tai voci porsi:
Invitto vincitor, pietà, mercede:
Non prego io te per la mia vita: il fiore
744Salvami sol del verginale onore.

XCIV.


     Egli, la sua porgendo alla mia mano,
Non aspettò che ’l mio pregar finisse:
Vergine bella, non ricorri in vano;748Io ne sarò tuo difensor, mi disse.
Allora un non so chè soave e piano
Sentii ch’al cor mi scese, e vi s’affisse:
Che serpendomi poi per l’alma vaga,
752Non so come, divenne incendio e piaga.