Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/325

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CANTO VIGESIMO. 295

XVII.


     Quel Capitan che cinto d’ostro e d’oro
Dispon le squadre, e par sì fero in vista;
Vinse forse talor l’Arabo, o ’l Moro;
132Ma il suo valor non fia ch’a noi resista.
Che farà (benchè saggio) in tanta loro
Confusione e sì torbida e mista?
Mal noto è, credo, e mal conosce i sui:
136Ed a pochi può dir: tu fosti, io fui.

XVIII.


     Ma Capitano i’ son di gente eletta:
Pugnammo un tempo, e trionfammo insieme.
E poscia un tempo a mio voler l’ho retta.
140Di chi di voi non so la patria e ’l seme?
Quale spada m’è ignota? o qual saetta,
Benchè per l’aria ancor sospesa treme,
Non saprei dir s’è Franca, o se d’Irlanda,
144E quale appunto il braccio è che la manda?

XIX.


     Chiedo solite cose; ogn’un quì sembri
Quel medesmo ch’altrove i’ l’ho già visto:
E l’usato suo zelo abbia, e rimembri
148L’onor suo, l’onor mio, l’onor di Cristo.
Ite, abbattete gli empj, e i tronchi membri
Calcate, e stabilite il santo acquisto.
Chè più vi tegno a bada? assai distinto
152Negli occhj vostri il veggio; avete vinto.