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Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/57

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CANTO DUODECIMO. 43

XXXV.


     Rapidissimo è il corso, e in mezzo l’onda
In se medesma si ripiega e gira;
Ma giunto ove più volge e si profonda,
276In cerchio ella mi torce, e giù mi tira.
Ti lascio allor; ma t’alza e ti seconda
L’acqua, e secondo all’acqua il vento spira,
E t’espon salva in su la molle arena;
280Stanco anelando io poi vi giungo appena.

XXXVI.


     Lieto ti prendo: e poi la notte, quando
Tutte in alto silenzio eran le cose,
Vidi in sogno un guerrier che, minacciando,
284A me sul volto il ferro ignudo pose.
Imperioso disse: io ti comando
Ciò che la madre sua primier t’impose
Che battezzi l’infante; ella è diletta
288Del Cielo, e la sua cura a me s’aspetta.

XXXVII.


     Io la guardo e difendo: io spirto diedi
Di pietate alle fere, e mente all’acque.
Misero te, se al sogno tuo non credi
292Ch’è del Ciel messaggiero; e quì si tacque.
Svegliaimi e sorsi, e di là mossi i piedi,
Come del giorno il primo raggio nacque:
Ma perchè mia fe vera, e l’ombre false
296Stimai, di tuo battesmo a me non calse,