Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/71

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CANTO DUODECIMO. 57

LXXVII.


     Vivrò fra i miei tormenti, e fra le cure
Mie giuste furie, forsennato errante.
Paventerò l’ombre solinghe e scure
612Che ’l primo error mi recheranno innante;
E del Sol, che scoprì le mie sventure,
A schivo ed in orrore avrò il sembiante.
Temerò me medesmo, e da me stesso
616Sempre fuggendo, avrò me sempre appresso.

LXXVIII.


     Ma dove (oh lasso me!) dove restaro
Le reliquie del corpo e bello e casto?
Ciò ch’in lui sano i miei furor lasciaro,
620Dal furor delle fere è forse guasto.
Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro
Troppo, e pur troppo prezioso pasto!
Ahi sfortunato! in cui l’ombre e le selve
624Irritaron me prima, e poi le belve.

LXXIX.


     Io pur verrò là dove sete, e voi
Meco avrò, s’anco sete, amate spoglie.
Ma s’egli avvien che i vaghi membri suoi
628Stati sian cibo di ferine voglie;
Vuò che la bocca stessa anco me ingoi,
E ’l ventre chiuda me che lor raccoglie.
Onorata per me tomba e felice,
632Ovunque sia, s’esser con lor mi lice.