Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/262

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sti spumoso e trincavano senza freno. La fede equilibrista era scossa; non vi era più alcuno in Stradella ed in Broni che fosse in grado di tenersi in equilibrio. Si vedevano dei vecchi avvinazzati strappar le gonnelle alle donne, affermando il diritto all’uguaglianza dei sessi; le donne, a loro volta, pretendevano all’onore dei calzoni. Rotolavano come botti, sul pendio dello stradone curricolare, delle coppie di ubbriachi, strettamente collegate. L’agro era invaso dalla follia contagiosa; abbracciamenti e ceffate, lacrime di tenerezza e invettive, danze a suono di calci, baci e morsi di lussuria impotente, tutte le maniere di amplessi imaginate dall’Aretino e dal Carnicci; l’orgia del sabbato antico coi raffinamenti e gli orrori della sensualità alcoolizzata.

Chi porrà fine a questo orrendo scompiglio?...

Udite! Udite!

Un muggito reboante, che par quello di cento tori riuniti, ha percosso l’aria con spaventose vibrazioni. Dalla via De—Pretis è uscito un gran fragore di terremoto; un padiglione è crollato, è un fuggi fuggi di gente che urla come fosse pigiata.

Cos’è avvenuto? Pressoché nulla: un leggerissimo errore di calcolo nella mente di un grande scienziato. Chi farà la storia delle infinite sciagure derivate alla famiglia umana dalle lievi abberrazioni dei forti intelletti! L’illustre primate Piria avea perfettamente costruito il suo gigante automatico-chimico-vitale. La macchina umana era riuscita; tutti gli elementi essenziali che la chimica poteva prestare alla formazione dell’ossatura, dei muscoli, dei condotti, delle parti viscerali, dei glutini nervei, erano stati da Piria impiegati e coordinati sapientemente. Un gigante dell’altezza di trenta metri, proporzionatamente sviluppato nelle singole membra, giaceva disteso nel padiglione di via De—Pretis. Verso le