Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/84

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tata la favilla della carità. Quando tutte le case erano ammorbate di tabacco, e tutti gli uomini imbestialiti nella crapula, o peggio ancora, mummificati dall’egoismo, o fatti macchina dalla cupidigia dell’oro — tutta la poesia del creato si rifugiava nel cuore di poche donne, angioli predestinati al martirio, che viveano per amare e morivano per aver troppo amato.

— Oh! io non avrei potuto amare quei rozzi e balordi animali d’allora — disse Fidelia ridendo. — Ti giuro, o sorella, che se io fossi vissuta nel secolo scorso, piuttosto che lasciarmi baciare da un uomo... Che orrore! Uomini che all’età di trent’anni non avevano più denti in bocca, né capelli sulla nuca!

Questa ingenua sortita di Fidelia portava la conversazione sopra un tema favorito. Ragionando di quella misteriosa e gentile aspirazione dei giovani cuori, di quel bisogno imperioso dei sensi che è l’amore, le tre donne divennero eloquenti.

CAPITOLO II.

Amore.

La notte era limpida e serena — il cielo sfavillante di stelle — l’aria imbalsamata. Mille augelletti canori, da poco tempo climatizzati in Europa, svolazzavano tra gli alberi odorosi, tolti alle vergini foreste americane e trapiantati nell’ampio giardino. I vivaci colibrì dalle ali di fuoco precedevano le tre donne, formando sul loro capo una nuvoletta dorata. Tutta la poesia del creato si rifletteva in quei giovani cuori, fecondando i germogli