Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/151

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— Chi!... come! che! — esclama l'oratore dando indietro due passi; — non è dunque al signor Teodoro Dolci che io ebbi l'onore di indirizzare l'esordio del mio discorso?...

— Sì, buon uomo! — risponde l'amazzone dal cocchio; — parlando a me, voi parlate a Teodoro Dolci, a colui che può dirsi la realizzazione del mio ideale, quindi parte integrante di me. Io sono per così dire il complemento di Teodoro... Egli ed io formiamo una sola persona, della quale in avvenire io sarò il capo ed egli il braccio. Possa il connubio di due anime ugualmente infervorate di entusiasmo esser fecondo alla patria di gloriosi avvenimenti! —

«Qual è dunque il vero Teodoro? quale la sposa?» — chiede a sè stesso il sindaco di Capizzone, che mai non si è trovato in peggiore imbarazzo. Gli astanti dividono la perplessità e lo stupore del sindaco. Don Dionigi con occhiate e con gesti cerca di animare il nipote perchè si riveli a' suoi concittadini, e ponga termine ad una crisi che minaccia di compromettere la gravità della cerimonia.

Ma Ortensia Rancati non è donna da lasciarsi dominare dagli avvenimenti. Mentre Teodoro si leva per arringare la folla, la terribile amazzone, sviluppando tutta l'ampiezza del torace adiposo, e rotando la proboscide sul capo del timido marito, volge al sindaco ed ai circostanti il seguente discorso:

 «Abitanti di Capizzone!

«Noi siamo vivamente commossi del nobile slancio, della fervida gara onde vi piacque onorarci in questo faustissimo giorno. Il vostro entusiasmo è proporzionato all'altezza dell'avvenimento; e noi attingiamo in esso nuovo coraggio a compiere la difficile missione che ci siamo imposti. Se molto abbiamo operato a vantaggio della causa comune, molto ancora ci rimane a fare. I nemici furono dispersi, non debellati... Mantova e Verona sono tuttora in potere dei Tedeschi. Noi promettiamo snidarli da quei covi e ricacciarli nelle nordiche selve. Quando la quistione dell'indipendenza