Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/171

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Io salgo le scale, penetro nella anticamera, e scuoto a gran forza il cordone del campanello.

Un servo viene ad aprirmi.

— Il presidente della società democratica-italo-latina, capitano della guardia nazionale, eccetera, eccetera, signor Egidio Lanfranconi, è egli visibile?

— Signore, — risponde il domestico, — il mio onorevole padrone si è recato in giardino, ove stassera ha luogo una cena.

— Tanto meglio! richiamalo tosto, e digli che una persona giunta testè da Pietroburgo deve parlargli di un importantissimo affare. — Così parlando, io entro nella sala, e mi getto sovra un divano.

— E non potrebbe la signoria vostra tornare domattina?...

— E tu credi, o imbecille, che un uomo il quale giunge dalla Russia, incaricato di una segreta missione, possa aspettare i comodi altrui? Questa sera istessa io debbo spedire un dispaccio telegrafico al signor Gorciacoff primo ministro, il quale, mentre io sto qui parlandoti, passeggia forse nel suo gabinetto, attendendo la risposta del signor Lanfranconi. E questa risposta dev'essere comunicata prima di mezzanotte all'imperatore; e prima che l'alba sorga, il mio dispaccio avrà fatto il giro dei principali gabinetti d'Europa!... Imbecille! —

Il servo si inchina profondamente e si affretta a portare l'ambasciata. Pochi minuti dopo, il signor Lanfranconi entra nella sala borbottando: «Qui certo v'è un malinteso. Che diavolo mi parli tu, imbecille, di Russia e di gabinetti?»

— Signor presidente della società democratica-italo-latina, — dico io con aria di mistero, — vorrei parlarvi da solo a solo. Favorite di licenziare il vostro domestico. —

A un cenno del signor Lanfranconi, il servo si ritira.

— Perdonate, o signore, se il desiderio vivissimo di conoscere davvicino un uomo pel quale nutro la più grande ammirazione, mi fece ricorrere ad uno stratagemma forse un po' bizzarro. Io non sono venuto per