Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/174

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abusare più oltre del loro potere... uscirei forse del mio coviglio... e volerei a Torino... per salvare la patria!

Povero Lanfranconi! L'ingenuità delle sue parole mi commuove, mi intenerisce. Io comprendo fino a qual punto le adulazioni di due raggiratori gli hanno guasto il cervello.

— Voi dicevate, — prosegue egli coll'entusiasmo del credenzone, — voi dicevate che lord Russel, lord Gorciacoff e Valeschi si sono degnati di pronunziare il mio nome. Potreste ora dirmi in qual modo que' grandi diplomatici hanno potuto aver nuova de' fatti miei... e in quale occasione si compiacquero rammentarmi...?

— Signore: la sarebbe una istoria troppo lunga e, per dir vero, io sono aspettato da un mio compagno di viaggio all'albergo del Sole, nè posso per ora intrattenermi più a lungo.

Il signor Lanfranconi scuote il campanello per richiamare il domestico, il quale subitamente comparisce.

— Va all'albergo del Sole, e dì all'amico di questo signore... che noi lo attendiamo qui...

— No... no, — interrompo io. — Asdrubale non consentirebbe di metter piede in questa casa, mentre per certe ragioni politiche egli viaggia l'Italia nel più stretto incognito. —

Poi volgendomi al domestico: — poichè il signore desidera ch'io mi trattenga qualche tempo con lui, dirai alla padrona dell'albergo che in caso il mio amico rientrasse prima di me, vada pure a coricarsi, che io sto bene ove mi trovo...

— E aggiungi, — proseguì il signor Lanfranconi, — aggiungi che il signore passerà la notte in casa mia, perchè deve parlarmi di gravi affari di stato... Ah! ah! —

Il servo si inchina e parte. Il colpo è fatto... eccomi padrone della fortezza. A suo tempo aprirò la breccia per introdurre l'amico; gran scena di passione, gran quadro finale, e buona notte... Il signor Lanfranconi brucia d'impazienza: conviene alimentare la fiamma perchè non si spenga sul più bello.