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VII.
La voce di Gregorio si era fatta roca — i muscoli neri delle sue braccia si erano gonfiati. Don Remondo con accento di compassione e di benevolenza si studiava di moderare quegli impeti appassionati.
— Sentite, don Remondo — riprese il vecchio col suo energico accento — io credo che la mia anima andrebbe dannata se prima di morire non facessi qualche cosa anch'io per aiutare la giustizia di Dio. Se si è fatta la guerra ai tedeschi, vuol dire che i tedeschi ne devono aver fatte tante e poi tante a noi poveri italiani, che finalmente anche quel lassù si è stancato. Le ho sapute tutte... A me la figlia... a quest'altro la moglie... dei poveri innocenti mandati alla forca... bastonate a dritta e a sinistra... centinaia di individui morti nelle prigioni... E senza andare lontano... da noi... nella nostra piccola valle... quali orrori... quanti assassinii!... Basta! Il secondo quarantotto è venuto... Hanno dovuto andarsene un'altra volta... dai nostri paesi... ed io — vedete maledizione! — io... nel cinquantanove, non sono arrivato in tempo... E voi ci avete avuto un po' di colpa, don Remondo... Mi dicevate: «aspetta, Gregorio!... non è tempo di partire... non è tanto facile passare il confine... Garibaldi verrà su da Varese... quanto prima egli dovrà passare per Como, e allora noi andremo ad arruolarci con lui!» Sicuro ch'egli ci è passato per Como, Garibaldi!... e poi si è portato a Lecco... e noi... bel da fare!... siamo corsi laggiù per farci iscrivere... e abbiamo avuto il nostro fucile quando non c'era più modo di adoperarlo! E loro le avevano già amministrate le loro pillole di piombo... si erano battuti a Laveno, a Varese, a San Fermo... mentre noi, gira di qua, gira di là, daghela avanti un passo... caricate le armi — un bel giorno vengono a dirci: fermo, signori!... alto!... non c'è più guerra... hanno capitolato... hanno accomodato l'armistizio... la diplomazia... l'accidente che li fulmini tutti...! E dopo alcuni giorni — vi ricordate, don Remondo?... noi eravamo a Lecco a fare il diavolo sulla piazza — e quel signore di T