Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/315

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sue maestre, dei suoi studi, dei suoi ricami; io le parlavo del seminario e delle nostre discipline.... Mi pareva che d'altro non si potesse ragionare fra noi... sebbene di tratto in tratto in quegli ingenui colloqui io sentissi una vampa di fuoco salirmi al volto... Io non mi accorsi della strana rivoluzione che già si era operata in me stesso, se non quando fui costretto a rientrare nel seminario. Ricevetti da mia madre la benedizione di congedo, e mi volsi per dire addio alla fanciulla... Le sue guance vermiglie e scintillanti di perenne sorriso erano coperte di un leggiero pallore... Ella mi accompagnò fino all'estremità del villaggio, e cogliendo il punto in cui mia madre e mio zio s'erano alquanto discostati da noi «Chi sa se ci rivedremo più mai! — disse amaramente; — gli è proprio un peccato che voi dobbiate andar prete!» Io non seppi rispondere; salii in carrozza con mio zio, indi mi volsi per salutare le due donne... ma questa volta gli sguardi più affettuosi non furono per mia madre...

La campanella che ci invitava allo studio pose fine quella sera al colloquio. Ma il giovine amico mi riparlò più volte della fanciulla, spiegandomi i dolorosi segreti della sua anima ardente e chiedendomi consiglio.

— Tu non puoi, tu non devi proseguire nella carriera ecclesiastica — io gli diceva. — Ed egli, con accento disperato: — E mio zio! e mia madre! essi moriranno di dolore... Posso io farmi carnefice di chi tanto mi ha amato e beneficato?... Oh! credilo, amico, io desidero morire!


II.

Un altro, e amico non era, ma compagno talvolta al passeggio de' portici, non eletto ma subìto, dicevasi chiamato al sacerdozio, e mi provava la propria vocazione con una logica che in altri men ingenuo di lui avrei riputata satanica.

— Per me, volontieri mi faccio prete, diceva il buon gaglioffo; nè credo vi abbia al mondo mestiere più agiato di questo. Noi abbiamo un benefizio di famig