Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/63

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per rassodare la sua convalescenza. Il prepotente bisogno di interrogare il di lui giudizio sulla nuova produzione drammatica, prima di affrontare quello del pubblico, gli ispirò il coraggio di dirigersi a quelle soglie, malgrado il pericolo di vedersi respinto.

Entrò col cuore trepidante — salì le scale a celere passo — e ottenne di presentarsi all'amico, il quale non aveva ancora abbandonata la sua camera da letto.

Poichè i due giovani furono lasciati soli, essi presero a parlare con quell'enfasi esuberante, che fa sorridere gli scettici incalliti nella apatia, ma che è pure la espressione più naturale della giovinezza che sente e che crede.


III.

— Ti sei fatto aspettare — cominciò Carlo con accento di mite rimprovero. — Son qui da dieci giorni, e il buon Giuseppe ti avrà portato i miei saluti e ti avrà detto come io desiderassi... una tua visita...

— Non ebbi coraggio... Mi avevano detto che la tua famiglia... il medico... che so io... non permettevano ai tuoi amici di venirti a trovare.... Come stai?... Molto debole, a quanto pare...

— Sì... debole ancora... molto debole!... Ma tu ricordi la visita di Bruto a Ligario... Se tu vieni a invitarmi perchè io ti accompagni laddove in questi giorni debbono accorrere tutti gli Italiani che sentono amore di patria, fammi vedere una camicia rossa ed un fucile — A quella vista... io riacquisterò in un momento le forze perdute... sarò guarito completamente... e marceremo, perdio!... e ci batteremo anche noi come si battono i leoni!

Le guancie di Carlo si erano animate di quel fuoco febbrile che è proprio dei convalescenti allorquando vengano assaliti da una emozione troppo viva. Eugenio arrossì a sua volta, ma il rossore di lui accusava l'imbarazzo e la vergogna di chi per la prima volta sente rinfacciarsi dalla propria coscienza un fallo inavvertito.

— Ah! tu vorresti partire per il campo? farti gari