Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/88

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me lo avesse fatto trovare in questo luogo... presso al cadavere del mio povero Ernani... per darmi la consolazione... di finirlo colle mie mani!

— Non c'era bisogno — disse il chirurgo, levandosi in piedi e allontanandosi dal giaciglio coll'aria indifferente dello scienziato. Penetrando fra la clavicola e la costa superiore, la palla si è sprofondata nel polmone sinistro e la morte divenne inevitabile.

— Hai sentito? — disse il cappellano a Gregorio, poichè il dottore e la Guida si furono alquanto allontanati per visitare gli altri feriti. — Ora, se tu sei un bravo cristiano, inginocchiati e prega anche per lui, pensa che il povero Ernani gli ha già perdonato in paradiso — e che ora, padre e figlio ci guardano di lassù abbracciati.

Ciò detto, don Remondo si levò dalla testa il suo ampio cappello, e mentre Gregorio cadeva in ginocchio a mani giunte, si fece a recitare una semplice preghiera che diceva:

«Anche oggi la morte ha mietuto sui due campi centinaia di vittime umane. Perdonate, o Signore, ai fratelli che uccidono i fratelli, e inviate le vostre consolazioni alle madri che aspettano invano.»


V.

Trascorse alcune ore, gli ospiti del piccolo albergo parevano assopiti. Il vecchio Gregorio, rattrappito fra due letti, colla testa ricurva, avea cessato di pregare e di piangere. Nessuna espressione di dolore per parte dei feriti. Il tormento e l'angoscia reprimevano il singulto, nulla turbava i silenzi della notte misteriosi e profondi.

Nella stanza terrena, seduto presso una vecchia tavola, il sergente delle Guide scriveva. La sua penna scorreva rapidamente sul foglio, agitata da un leggiero tremolio; avresti detto che quel giovine fosse intento a commettere un delitto; che rivelando ad una persona amica i segreti del proprio cuore, temesse di dire cose riprovevoli e codarde. Sul campo di battaglia, dopo le innebrianti e spietate emozioni, il sentime