Vai al contenuto

Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/98

Da Wikisource.

— Non temete, signor Teodoro; quando avrò collocate le mie bestie, verrò a tenervi compagnia. —

La vettura scomparve dietro la cantonata, e il timido campagnuolo portò la mano agli occhi per asciugare una lagrima. Colla vettura del Brunetto scompariva per lui ogni ricordo di Capizzone. Teodoro sentiva per la prima volta il dolore dell'isolamento morale.


CAPITOLO II.

Prime armi di Teodoro Dolci.


Sospinto dai camerieri, dai piccoli e dai pressati avventori, il timido campagnuolo trovossi nel mezzo della sala terrena.

— Il signore desidera pranzare?

— Io pranzare! — risponde Teodoro al cameriere; — da noi a Capizzone non si pranza.... Io non sono un signore.... Però avrei caro di mangiare un boccone così alla buona... perchè nel corso della giornata non ho preso verun cibo... tranne il caffè della Caterina....

— La si accomodi a quel tavolo....

— Signor cameriere.... cameriere!...

— Le dico di prender posto a quel tavolo, e di sbrigarsi nell'ordinare, perchè in oggi, come ella vede, non abbiam tempo da perdere.

Teodoro si inoltra timidamente nella sala terrena, ma non osa avvicinarsi alla tavola che gli viene indicata, per tema di dar noia agli altri commensali.

— Se questi signori mi permettessero... — balbetta il giovane campagnuolo, dopo breve esitazione, — io mi accomoderei alla meglio in quel cantuccio...

I commensali si stringono l'un presso l'altro; Teodoro si leva il cappello e si pone a sedere, avendo cura di occupare il minore spazio possibile. Alla vista di tante persone ben vestite, di tante facce sconosciute, l'allievo di don Dionigi Quaglia non osa levar gli occhi, non che muovere una mano. Al rumore dei bicchieri e delle forchette si uniscono le stridule voci dei camerieri e dei piccoli, le ciarle animate dei mangiatori.