Pagina:Giacomelli - Dal diario di una samaritana, 1917.djvu/10

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rotta da qualche lampadina azzurrata. E ascolto un gemito alto, insistente, che viene da una sala disopra, i rumori lontani, che vanno e vengono col vento, il fischio lungo di una vaporiera alla stazione.

Finalmente un rombo cupo si avvicina. E’ il primo camion. Il cancello si spalanca, suona la campana. Le samaritane balzano fuori, gli infermieri si precipitano dai reparti, tutte le accorrenti figure bianche si affollano intorno al gran carro chiuso, segnato della Croce Rossa, che s’è fermato alla porta della contumacia.

Si aprono gli sportelli, e s'intravvede un'esile figura di fantaccino pallida, col capo fasciato. Scende quasi da sè, e così, il colossale artigliere da montagna che lo segue, e altri, quali con un braccio al collo, quali zoppicanti, quali incerti per la fasciatura del capo che scende sugli occhi. Uno ha entrambe le braccia fasciate e assicurate al petto.

Quando sono scaricati tutti quelli che si reggono, un infermiere sale sul carro, e vengon calate le barelle, mentre noialtre accompagniamo su i soldati, reggendo i più malconci, salvo due che gli infermieri portano a spalle.

Lungo le scale è un concerto di scarpe chiodate, che si trascinano sulle pietre, e di tossi in tutti i toni. I feriti parlano poco, solo qualcuno accenna alla lentezza del viaggio, al freddo, alla debolezza; ma son lamenti piani, rassegnati, senza amarezza.

Vengono da Cormons, dove hanno passato due giorni, e dove erano scesi, quali dal Monte S. Gabriele, quali dal S. Marco.

In breve, nella gran sala vuota, coi letti bianchi che