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tici, chi l’itterizia; pare quasi un reparto di medicina. Io interrogo tutti, e poi segnalo al dottore (ormai troppo occupato per poter visitare tutti in mattinata), i casi che mi sembrano più urgenti. Ma ieri avevo dovuto chiedere un permesso, e oggi sento questo e quello di nuovo. «L’avete detto al signor tenente?». Ma quasi nessuno aveva parlato. E uno di quei bambinoni mi fa: «Ma non siete voi, signorina, quella che gli si deve dire?»

I malanni però non impediscono l’allegria. In ogni sala, per lo più, ci sono due o tre più evoluti, che tengon desti i compagni, con ricordi della guerra, commenti sulle nuove notizie, ragionamenti politici, anche. E due cose, quando ascolto i nostri soldati, noto con piacere. Per lo più, raccontano con semplicità, senza vanterie personali e senza troppi lamenti; e quando accennano ai nemici, ne parlano, più che con odio, con pietà. I meno ben disposti, per lo più, tacciono. O parleranno quando non ci siamo noi?


1.° Febbraio. ― Oggi giornata più ripiena del solito per medicazioni, perchè gli infermieri principali erano in sala operatoria. Io mi son presi tre congelati di 3.° grado. Tutte le dita dei piedi, incancrenite, necrosate, si vanno staccando. E’ la medicazione più penosa... ma si fa tanto più volentieri. Che cosa non si farebbe per i nostri reduci dal fronte?

I soli che assisto con repugnanza son quelli che danno motivo di sospettarli simulatori, o il cui male si suppone procurato. Forse ne soffrono anch’essi, forse nel loro interno si vergognano. In questo momento ne abbiamo