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Pagina:Giacomelli - Dal diario di una samaritana, 1917.djvu/45

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Intanto il sonno è passato, e l’agitazione si calma riprendendo la nostra passeggiata silenziosa.

Battono le quattro — battono le cinque. Un gallo canta. Suona l’Ave Maria.

L’uno e l’altro si va destando, si lamenta, domanda qualchecosa. Non sempre possiamo accontentarli. Ma cerchiamo di confortarli piano, per non destare gli altri. Qualcuno ha nominata la mamma, qualche persona cara. Li facciamo raccontare di casa, cerchiamo di far loro ricordare le care voci, accanto al letto del loro sacrificio per la Patria, affinchè sentano che anche la Patria è una madre.

Poi, il sonno li riprende, il sonno del mattino di chi ha male dormito.

Suor Serena comincia piano a disporre per il servizio mattutino. Io riprendo i miei giri in su e in giù, per le corsie. A un certo punto mi par di vedermi venire incontro una visione, quella della Signora della lampada.

E’ Florence Nightingale, la quale, in Crimea, fra gli orrori degli ospedali di guerra d’un tempo, nei quali l’abbandono, la cancrena e la morte mietevano i più, recò i prodigi della sua carità onnipossente, santa origine della Croce Rossa.

Per la sua costante vigilanza notturna, che la portava, infaticabile, dovunque, facendosi lume da sè, i soldati, che l’adoravano, l’avevano denominata «la Signora della lampada». Noi non siamo che miserrime discepole dell’eroina inglese: ma possa ciascuna di noi, vigilante nella carità, tenere accesa sempre la propria lampada.