Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/156

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dell'impero romano cap. iii. 119

fosse instabile una felicità, la quale dipendeva dalla indole di un uomo solo. Forse si avvicinava il fatal momento, nel quale qualche giovane dissoluto o qualche tiranno geloso, distruggerebbe il lor popolo con quell’assoluto potere ch’essi aveano impiegato a farlo felice. Il freno ideale del Senato o delle leggi poteva servire a far risaltar le virtù, ma non a correggere i vizj dell’Imperatore. La forza militare era uno strumento cieco ed irresistibile di oppressione; e la corruzione dei costumi romani sempre avrebbe fornito adulatori facili ad applaudire, o ministri pronti a servire al timore o all’avarizia, ai sensuali piaceri od alla crudeltà dei loro padroni.

L’esperienza dei Romani aveva già giustificato questi funesti timori. Gli annali degl’Imperatori presentavano una forte e varia pittura della natura umana, che noi invano ricercheremmo tra i misti e dubbj caratteri della storia moderna. Nella condotta di que’ Monarchi si possono scoprire tutti i gradi del vizio e della virtù; la perfezione più sublime e la più bassa degenerazione della nostra specie. L’aureo secolo di Traiano e degli Antonini era stato preceduto da un secolo di ferro. È quasi superfluo il numerare gl’indegni successori di Augusto. I loro incomparabili vizj, ed il teatro illustre, sul quale hanno rappresentato, gli hanno salvati dall’obblivione. Il cupo inflessibil Tiberio, il furioso Caligola, lo stupido Claudio, il malvagio e crudele Nerone, il brutale Vitellio1, ed il timido e barbaro Domiziano sono con-

  1. Vitellio spese per la sua tavola circa dodici milioni di zecchini quasi in sei mesi. È difficile l’esprimere i vizj di questo Principe con dignità od anche con decenza. Tacito lo chiama un porco, ma sostituendo a quella parola grossolana una bellissima immagine „At. Vitellius, umbraculis hortorum