Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/360

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dell'impero romano cap. ix. 323

giori. L’ultimo secolo fu fertile in dottissimi e creduli antiquarj, i quali colla dubbia scorta delle leggende e delle tradizioni, delle congetture e delle etimologie, condussero i discendenti di Noè dalla torre di Babel fino alle estremità del Globo. Tra que’ critici giudiziosi, Olao Rudbeck, professore dell’Università di Upsal1, è il più dilettevole. Questo zelante cittadino riferisce alla sua patria tutto ciò, che vi ha di celebre nella favola o nella storia. Dalla Svezia (ch’era una parte considerabile della Germania) riceverono i Greci il loro alfabeto, la religione e l’astronomia. Quella amena regione, (che tal pareva agli occhi di un nazionale), avea dato luogo alle deboli ed imperfette copie dell’Atlantide di Platone, del paese degli Iperborei, degli orti Esperidi, delle Isole Fortunate, e dei campi Elisi. Un clima, sì prodigamente favorito dalla natura, non potea rimanere lungo tempo disabitato dopo il diluvio. Il dotto Rudbeck concede alla famiglia di Noè pochi anni per moltiplicare da otto sole persone a ventimila. Li disperde quindi in diverse piccole colonie per popolar la terra e propagare la specie umana. Il distaccamento germano o svezzese (che, se non m’inganno, marciò sotto il comando di Askenaz, figlio di Gomer, figlio di Jafet) si distinse con una straordinaria diligenza nel proseguimento di questa grand’opera. Il settentrionale alveare mandò i suoi sciami nella maggior parte della Europa, dell’Affrica e dell’Asia, e (per servirsi della metafora dell’autore) il sangue tornò indietro dalle estremità al cuore.

  1. La sua opera intitolata Atlantica, è rarissima; Bayer ne ha fatto due curiosi estratti, République des Lettres, Janvier et Février 1685.