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le tende del deserto1, si aggirò intorno all’oste persiana, l’affaticò nella ritirata, portò via parte del tesoro, e ciò ch’era più caro di ogni tesoro, molte donne del gran Re, il quale alla fine fu obbligato di ripassare l’Eufrate con qualche segno di fretta e di confusione2. Con questa impresa Odenato gettò i fondamenti della sua futura gloria e grandezza. La maestà di Roma, oppressa da un Persiano, fu sostenuta da un Soriano od Arabo di Palmira.

La voce della Storia, che spesso altro non è che l’organo dell’odio o dell’adulazione, rimprovera a Sapore un altiero abuso dei diritti della vittoria. Dicesi che Valeriano, incatenato ma rivestito della porpora imperiale, venne esposto alla moltitudine per un costante spettacolo di caduta grandezza, e che qualora il persiano Monarca montava a cavallo, posava il piede sul collo dell’Imperatore romano. Malgrado tutte le rimostranze de’ suoi alleati, che reiteratamente l’avvertivano di rammentarsi le vicende della fortuna, di temere la risorgente potenza di Roma, o di servirsi dell’illustre suo prigioniero per pegno della pace e non per oggetto d’insulto, Sapore sempre rimase inflessibile. Dopo che Valeriano succumbè sotto il peso della vergogna e del dolore, la sua pelle impagliata a somiglianza di corpo umano fu conservata per varj secoli nel più illustre tempio della Persia; monumento più reale di trionfo, che gl’immaginarj trofei di bronzo e di marmo sì spesso eretti dalla vanità dei

  1. Egli era in tanta considerazione presso le Tribù erranti, che Procopio (De bello Pers. l. II c. 5.) e Giovanni Malala (tom. 1 p. 391) lo chiamarono Principe dei Saraceni.
  2. Pietro Patricio.