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136 storia della decadenza

pure fu tal la forza e la destrezza di lui, che arrivò salvo all’opposta riva1. Riguardo al Generale Romano, noi non sappiamo le circostanze della sua fuga; ma quando egli ritornò in Antiochia, Diocleziano lo ricevè non colla tenerezza di un amico e di un collega, ma collo sdegno di un offeso Sovrano. Il più altero degli uomini, vestito di porpora, ma umiliato dal sentimento del suo fallo e della sua sventura, fu obbligato a seguitare a piedi per più di un miglio il cocchio dell’Imperatore, e dare a tutta la Corte lo spettacolo del suo disonore2.

Appena ebbe Diocleziano soddisfatto il suo privato risentimento, e sostenuta la maestà dei sovrano potere, cedè alle umili preci del Cesare, e gli permise di ricuperare il suo onore e quello delle armi Romane. In vece delle imbelli truppe dell’Asia, le quali molto probabilmente avean servito nella prima spedizione, fu composto un nuovo esercito di veterani e di nuove reclute della frontiera Illirica; ed un corpo considerabile di Goti ausiliari fu preso al soldo imperiale3. Galerio passò di nuovo l’Eufrate alla testa di una scelta armata di venticinquemila uomini, ma in vece di esporre le sue legioni nelle aperte pianure della Mesopotamia, si avanzò per le montagne dell’Armenia,

    traduzione dell’Anabasi di Spelman, che ardisco raccomandare come una delle migliori traduzioni che abbiamo.

  1. Stor. Armen. l. II. c. 76. Io ho trasferito questa impresa di Tiridate da una disfatta immaginaria a quella reale di Galerio.
  2. Ammian. Marcell. l. XIV. Il miglio, nelle mani di Eutropio (IX. 24.) di Festo (c. 2.) e di Orosio (VIII. 25.) facilmente si estendeva a diverse miglia.
  3. Aurel. Vittore. Giornandes de rebus Geticis c. 21.