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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano II.djvu/239

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dell'impero romano cap. xiv. 233

pubblica calamità. Questo è un autentico documento, che sempre sussiste, per contraddire e confonder quegli oratori venali, che troppo eran soddisfatti della lor situazione per manifestare il vizio e la miseria sotto il governo d’un generoso Sovrano1.

II. Le leggi di Costantino contro i ratti dimostrano ben poca indulgenza per le più lusinghevoli debolezze della natura umana; giacchè si applicò la denominazione di quel delitto non solamente alla violenza brutale che sforza, ma anche all’insinuante seduzione, che può persuadere una donna non maritata, minore di venticinque anni, a lasciar la casa dei suoi genitori. „Chi aveva eseguito il ratto era punito colla morte; e come se la semplice morte non fosse corrispondente all’enormità del misfatto, egli doveva o esser bruciato vivo, o fatto in pezzi dalle fiere nell’anfiteatro. La dichiarazione che potea far la rapita, che ciò era seguito col consenso di lei, invece di salvare l’amante, esponeva lei medesima ad esser partecipe della pena. Ai genitori della colpevole, o disgraziata fanciulla era ingiunto il dovere di pubblicamente accusarla; e se mai prevaleva in essi il sentimento naturale in maniera da far loro dissimulare l’ingiuria, e riparare, mediante il successivo matrimonio, l’onore della famiglia, eran puniti colla confiscazione e coll’esilio. Gli schiavi dell’uno e dell’altro sesso, convinti di aver dato mano al ratto o alla seduzione, erano bruciati vivi, o posti a morte coll’inge-

  1. Omnia foris placita, domi prospera, annonae ubertate, fructuum copia (Paneg. Vet. X. 58). Quest’orazione di Nazario fu pronunziata il giorno de’ Quinquennali de Cesari, cioè il primo di Marzo dell’anno 321.