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dell'impero romano cap. xi. |
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del loro grado, stavano a cavallo dall’uno e dall’altro lato del trono Imperiale. Dietro al trono s’innalzavano sopra lunghe picche, coperte d’argento, le sacre immagini dell’Imperatore e de’ suoi Predecessori1, le Aquile d’oro, ed i vari titoli delle legioni, a lettere d’oro scolpiti. Quando prese Aureliano il suo posto, il suo nobile portamento e la sua maestosa figura2 insegnarono ai Barbari a venerare la persona non meno che la porpora del lor vincitore. Caddero in silenzio gli ambasciatori al suolo prostesi. Fu ad essi ordinato di alzarsi e permesso di favellare. Coll’assistenza degl’interpreti estenuarono eglino la loro perfidia, ma giustificarono le loro imprese, si estesero sulle vicende della fortuna e su i vantaggi della pace, e con inopportuna confidenza richiesero un abbondante sussidio, quasi prezzo dell’alleanza, ch’essi offrivano ai Romani. Fu la risposta dell’Imperatore aspra ed imperiosa. Trattò la loro offerta con disprezzo, e con indignazione la loro richiesta; rimproverò ai Barbari la loro ignoranza nelle arti della guerra e nelle leggi della pace, e finalmente li licenziò colla sola scelta di rendersi a discrezione, o di aspettare la maggior severità dal suo risentimento3. Aveva Aureliano restituita ai Goti una remota provincia; ma era pericoloso il fidarsi o il perdonare a que’ perfidi Barbari, la cui formidabil potenza teneva l’Italia stessa in continui timori.
- ↑ L’Imperatore Claudio era certamente in quel numero; ma non sappiamo fin dove si estendesse questo segno di rispetto: se fino a Cesare ed Augusto, deve aver prodotto un superbo formidabile spettacolo quella lunga serie di padroni del mondo.
- ↑ Vopisco nella Stor. Aug. p. 210.
- ↑ Dexippo mette in lor bocca una prolissa orazione, degna di un Greco sofista.