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stigarne con devota riverenza il senso ed il compimento. Ma questa maniera di persuadere perde molto del suo peso e della sua forza, quando si dirige a quelli, che nè intendono nè rispettano la legge Mosaica ed il profetico stile1. Nelle imperite mani di Giustino e de’ successivi Apologisti, la sublime intelligenza degli oracoli Ebrei svanisce in lontane figure, in affettati concetti, ed in fredde allegorie; e la loro autenticità rendevasi anche sospetta ad un Gentile non illuminato per la mescolanza di pie falsità, che sotto i nomi di Orfeo, di Ermete e delle Sibille2 gli si volevan far credere di ugual valore, che le genuine inspirazioni del Cielo. I sofismi, e le frodi, che si usano in difesa della Rivelazione, ci rammentano bene spesso la poco giudiziosa condotta di que’ poeti, che caricano i loro invulnerabili Eroi con un peso inutile d’incomode o fragili armi.

Ma come potrem noi scusare la supina disattenzione de’ Pagani e Filosofi a quelle prove, che si presenta-

  1. Se allegata si fosse la famosa Profezia delle settanta settimane ad un filosofo di Roma, non avrebb’egli risposto con le parole di Cicerone „Quae tandem ista auguratio est, annorum potius quam aut mensium aut dierum?de Divinit. II 30. Si osservi con qual irreverenza Luciano (in Alexandro c. 13,) ed il suo amico Gelso (ap. Origen. l. VII. p. 327.) si esprimono rispetto a’ Profeti Ebrei.
  2. I filosofi, che deridevano le più antiche predizioni delle Sibille, avrebbero facilmente scoperto le falsità degli Ebrei e de’ Cristiani, che i Padri hanno citato con tanta pompa, da Giustino Martire fino a Lattanzio. Quando i versi Sibillini ebbero eseguilo l’uffizio loro assegnato, essi, come il sistema dei millenarj, furono quietamente posti in obblio. La Sibilla Cristiana disgraziatamente aveva fissata la rovina di Roma nell’anno 195. II. C. 948.