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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/322

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316 storia della decadenza

tributo in danaro; e della moneta corrente dell’Impero non si poteva legalmente ricevere, che oro1. Il rimanente delle tasse veniva pagato, secondo la proporzione determinata dall’annuale indizione, in un modo vie più diretto ed oppressivo. Coerentemente alla diversa natura delle terre, si trasportava da’ Provinciali, o a loro spese, il real prodotto di esso in varie specie di vino o d’olio, di grano o d’orzo, di legno o di ferro nei magazzini Imperiali, da’ quali secondo le occasioni eran distribuite per l’uso della Corte, dell’esercito, e delle due capitali, Roma e Costantinopoli. I Commissari delle rendite si trovavano così spesso nel caso di fare delle considerabili compre, ch’era loro vietato rigorosamente d’accordare compensazione veruna, o di ricevere in danaro la valuta di ciò, che si doveva esigere in ispecie. Nella semplicità primitiva di piccole Comunità, questo metodo può esser bene adatto a raccoglier le offerte quasi volontarie del Popolo; ma esso è suscettibile nel tempo stesso dell’ultima estensione e dell’ultima strettezza, che in una corrotta ed assoluta Monarchia si devono introdurre da una perpetua contesa fra il potere dell’oppressione e le arti della frode2. Si rovinò appoco appoco l’agricoltura delle

    et mentiatur callide paupertatis ingenium, mox detectus capitale subibit exitium, et bona ejus in Fisci jura migrabunt. Cod. Theod. l. XIII. Tit. XI. leg. 1. Sebbene questa legge non sia esente da una studiata oscurità, essa è però sufficientemente chiara per provare quanto fosse minuta l’inquisizione, e sproporzionata la pena.

  1. Sarebbe cessata la maraviglia di Plinio. Equidem miror P. R. victis gentibus argentum semper imperitasse non aurum. Hist. Nat. XXIII. 15.
  2. Furono prese precauzioni (Vedi Cod. Theod. l. XI.