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dell'impero romano cap. xvii. | 325 |
ciar la somma, in cui la loro povertà era stata tassata. Non può in vero giustificarsi la testimonianza di Zosimo dalla taccia di passione e di pregiudizio; ma dalla natura di tal tributo sembra ragionevole il dedurre, ch’esso era arbitrario nella distribuzione, ed estremamente rigoroso nella maniera d’esigersi. La segreta ricchezza del commercio ed i guadagni precari dell’arte o del lavoro non son suscettibili, che d’una arbitraria valutazione, che di rado è svantaggiosa per l’interesse del Fisco; e siccome la persona del trafficante supplisce alla mancanza d’una visibile e permanente sicurezza, così il pagamento dell’imposizione, che nel caso de’ tributi sopra le terre si può ottenere mediante il possesso de’ beni, rare volte può estorcersi per altri mezzi che per quelli delle pene corporali. Viene attestato, e forse mitigato il crudel trattamento degl’insolventi debitori del Fisco da un editto molto umano di Costantino, che disapprovando l’uso de’ tormenti e delle verghe, assegna un’ampia ed ariosa prigione per luogo della loro custodia1.
Queste tasse generali erano imposte ed esatte per assoluta autorità del Monarca; ma le offerte, che secondo le occasioni facevansi dell’oro coronario, conservarono sempre il nome e l’apparenza del consenso del Popolo. V’era un uso antico, che i confederati della Repubblica, i quali ascrivevano la lor salvezza, o liberazione al buon successo delle armi Romane; ed anche le città dell’Italia, che ammiravano il valore del vittorioso lor Generale, adornavan la pompa del suo trionfo con doni volontari di corone d’oro, le quali
- ↑ Cod. Theod. l. XI. Tit. VII. leg. 3.