Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/433

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dell'impero romano cap. xix. 427

to sì lo stile che la sostanza della lettera nel consiglio Imperiale, e fu rimandato l’Ambasciatore colla risposta; „che Costanzo aveva diritto di non approvare l’officiosità de’ suoi ministri, che avevano operato senz’avere alcun ordine speciale del Trono; egli ciò nonostante non era alieno da un uguale ed onorevole trattato; ma era molto indecente ed assurdo il proporre all’unico e vittorioso Imperatore del Mondo Romano quelle medesime condizioni di pace, ch’esso aveva rigettato con isdegno, quando era limitato il suo potere dentro gli angusti limiti dell’Oriente; e dovrebbe Sapore rammentarsi, che se qualche volta i Romani erano stati vinti in battaglia, essi erano quasi sempre stati felici nell’esito della guerra„. Pochi giorni dopo la partenza di Narsete furon mandati tre Ambasciatori alla Corte di Sapore, il quale dalla spedizione della Scizia era già tornato all’ordinaria sua residenza di Ctesifonte. Furono scelti un Conte, un Notaro ed un Sofista per quest’importante commissione; e Costanzo, ch’era segretamente ansioso di concluder la pace, aveva qualche speranza, che la dignità del primo di questi ministri, la destrezza del secondo e la rettorica del terzo1 avrebbero persuaso il Monarca Persiano a diminuire il rigore delle sue domande. Ma i progressi del

  1. Ammiano XVII. 5 e Vales. ib. Il sofista o filosofo (questi nomi erano in quel tempo quasi sinonimi) era Eustazio di Cappadocia, discepolo di Jamblico ed amico di S. Basilio, Eunapio (in vit. Edesii p. 44, 47), appassionato pel suo filosofico Ambasciatore, gli attribuisce la gloria d’avere incantato il barbaro Re colle persuasive lusinghe della ragione e dell’eloquenza. Vedi Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV p. 828, 1132).