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tezza, doveva esporsi piuttosto a’ più crudeli tormenti, che per un solo atto cambiare la riputazione di tutta la vita nell’abborrimento de’ suoi Cristiani fratelli e nel disprezzo del mondo Gentile. Ma se lo zelo di Cipriano veniva sostenuto da una sincera persuasione della verità di quelle dottrine ch’egli predicava, la corona del martirio dovea sembrargli piuttosto un oggetto di desiderio che di terrore. Dalle vaghe, sebben eloquenti declamazioni de’ Padri non è così facile di concepire un’idea distinta, o di determinare il grado di quell’immortal gloria e felicità, ch’essi con fiducia promettevano a quelli ch’erano sì fortunati da spargere il proprio sangue in difesa della religione1. Con la diligenza che si conveniva, essi inculcavano, che il fuoco del martirio suppliva ogni difetto, ed espiava ogni colpa; che mentre le anime degli altri Cristiani eran obbligate a passare per una lenta e penosa purificazione, i Martiri entravano trionfanti al godimento immediato dell’eterna felicità, dove in compagnia de’ Patriarchi, degli Apostoli e de’ Profeti regnavan con Cristo, ed erano come assessori di esso nell’universal giudizio dell’uman genere. La sicurezza di una durevole riputazione sopra la terra, motivo sì confacente alla vanità della natura umana, serviva spesse volte ad animare il coraggio de’ Martiri. Gli onori, che Roma od Atene largivano a’ que’ cittadini, ch’erano morti per

    mitivi Martiri. Vedi Lord Lyttelton Istor. di Enrico II. (Tom. II. p. 592 ec.).

  1. Vedasi particolarmente il trattato di Cipriano de Lapsis p. 87-98. Ediz. Fell. L’erudizione di Dodwell (Dissert. Cyprian. XII. XIII.) e l’ingenuità di Middleton (Ricerca libera p. 162 ec.) non hanno lasciato cosa da aggiungere intorno al merito, agli onori, ed ai motivi de’ Martiri.