Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/343

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dell'impero romano cap. xxiv. 339

grado nella Provincia Perisabor o Anbar, città grande, popolata e ben fortificata con un doppio recinto di mura, quasi circondata da un ramo dell’Eufrate, e difesa dal valore di una numerosa guarnigione. Si rigettarono con disprezzo l’esortazioni d’Ormisda; e il Principe Persiano dovè udire coi proprj orecchi il giusto rimprovero, che dimenticatosi della reale sua nascita, conduceva un esercito di stranieri contro il proprio Sovrano e la patria. Gli Assiri mantennero la lor fedeltà mediante una ben intesa e vigorosa difesa, finattanto che avendo un forte colpo d’ariete aperto una larga breccia con aver danneggiato uno degli angoli della muraglia, essi precipitosamente si ritirarono nelle fortificazioni della cittadella interiore. I soldati di Giuliano si gettarono impetuosamente nella città, e dopo d’aver appieno soddisfatto ogni militare appetito, Perisabor fu ridotta in cenere; e furono piantate sulle rovine delle case fumanti, le macchine dirette contro la cittadella. Si continuò il combattimento per mezzo di perpetue vicendevoli scariche di dardi; e la superiorità, che i Romani potevano trarre dalla meccanica forza delle loro balestre e catapulte, veniva contrabbilanciata dal vantaggio del suolo dalla parte degli assediati. Ma tosto che fu eretta un’elepoli, che poteva attaccare ad ugual livello i più alti baloardi, il tremendo aspetto di una mobile torre, che non lasciava speranza veruna di resistenza o di pietà, ridusse gli spaventati difensori della rocca ad un umile sommissione; e la piazza si rendè dopo due soli giorni che Giuliano s’era presentato innanzi alle mura di Perisabor. Fu permesso a duemila cinquecento persone d’ambedue i sessi, deboli residui d’un florido popolo, di ritirarsi; le abbondanti provvisioni di grano,