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378 storia della decadenza

ce, le quali non era in suo poterò di ricusare. Furono restituite alla Monarchia Persiana le cinque Province di là dal Tigri, che dall’avo di Sapore erano state cedute. Per un articolo separato acquistò egli anche l’inespugnabile città di Nisibi, che in tre successivi assedi aveva sostenuto lo sforzo delle sue armi. Singara ed il castello de’ Mori, una delle più forti piazze della Mesopotamia, si smembrarono parimente dall’Impero. Fu considerata come una largità, che fosse permesso agli abitanti di quelle fortezze di ritirarsi coi loro effetti; ma il vincitore fortemente insistè, che i Romani dovesser per sempre abbandonare il Re ed il regno dell’Armenia. Stipulossi fra le nemiche Nazioni una pace o piuttosto una lunga tregua di trent’anni; con solenni giuramenti e con cerimonie religiose si ratificò la fede de’ trattati; e reciprocamente si diedero ostaggi di ragguardevol grado per assicurare l’esecuzione de’ patti1.

Il Sofista d’Antiochia, che vide con isdegno lo scettro del suo eroe nelle deboli mani d’un successore Cristiano, protesta d’ammirar la moderazione di Sapore in contentarsi d’una sì piccola parte dell’Impero Romano. S’egli avesse esteso fino all’Eufrate le ambiziose sue pretensioni, sarebbe stato sicuro, dice Libanio, di non incontrare opposizione alcuna. S’egli

  1. Fanno menzione del trattato di Dura con dispiacere e con isdegno Ammiano (XXV. 7), Libanio (Orat. parent. c. 142. p. 264), Zosimo (l. III. p. 190, 191) Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 117, 118) che attribuisce a Giuliano la calamità, e la liberazione a Gioviano, ed Eutropio (X. 17). L’ultimo di questi Scrittori, che si trovava presente in un posto militare, chiama tal pace necessariam quidem, sed ignobilem.