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382 storia della decadenza

cun vestigio nè di amici nè di nemici. Se potea trovarsi nel campo una piccola dose di farina, volentieri se ne compravan venti libbre per dieci monete di oro1; furon uccise e divorate le bestie da soma; ed il deserto era sparso di armi e del bagaglio dei soldati Romani, i laceri vestimenti ed i magri aspetti dei quali dimostravano quel che avevano sofferto, e la miseria in cui si trovavano. Un piccol convoglio di provvisioni s’avanzò incontro all’armata fino al castello di Ur, e tal soccorso riuscì tanto più gradito, che dichiarava la fedeltà di Sebastiano e di Procopio. A Tilsafata2 l’Imperatore accolse molto graziosamente i Generali della Mesopotamia; e finalmente i residui d’un esercito una volta sì florido, si riposarono sotto le mura di Nisibi. I messaggi di Gioviano avevano già pubblicato con le frasi dell’adulazione l’innalzamento, il trattato ed il ritorno di esso; ed il

  1. Possiam far uso in questo luogo di alcuni versi di Lucano (Pharsal. IV. 95) che descrive un’angustia simile dell’esercito di Cesare nella Spagna.

    Saeva fames aderat . . . .
    Miles eget: toto censu non prodigus emit
    Exiguam cererem. Proh lucri pallida tabes!
    Non deest prolato jejunus venditor auro.

    Vedi Guichardt. Nouv. memotr. milit. Tom. I. p. 379, 382. L’analisi, ch’ei fa delle due campagne in Ispagna e nell’Affrica, è il più nobile nronumento, che sia mai stato innalzato alla fama di Cesare.

  2. Il Danville (vedi le sue carte e l’Euphr. et le Tigr. p. 92, 93) descrive la loro marcia, e fissa la vera situazione di Hatra, di Ur, e di Tilsafata, delle quali ha fatta menzione Ammiano. Ei non si duole del Samiel, cioè di quel mortal vento caldo sì temuto da Thevenot. Viag. Pars. II. l. I. p. 192.