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dell'impero romano cap. xxi | 85 |
L’anima materiale dell’Universo1 poteva offendere la pietà degli Ebrei. Ma essi applicarono il carattere del Logos al Jehovah di Mosè e de’ Patriarchi; e fu introdotto il Figlio di Dio sulla terra sotto una visibile ed anche umana figura, per fare que’ famigliari uffizi, che sembrano incompatibili colla natura e cogli attributi della Causa Universale2.
[A. A. C 97] L’eloquenza di Platone, il nome di Salomone, l’autorità della scuola d’Alessandria, ed il consenso dei Greci e degli Ebrei non erano sufficienti a stabilire la verità d’una misteriosa dottrina, che potrebbe piacere ad una mente ragionevole, ma non soddisfarla. Solo un Profeta o un Apostolo, inspirato dalla Divinità, può esercitare un legittimo potere sulla fede degli uomini; e la teologia di Platone sarebbe restata per sempre confusa con le filosofiche visioni dell’Accademia, del Portico e del Liceo, se il nome e i divini attributi del Logos, non si fossero confermati dal-
- ↑ Mens agitat molem, et magno se corpore miscet. Oltre quest’anima materiale, Cudworth ha scoperto (p. 562) in Amelio, in Porfirio, in Plotino, e per quanto egli crede, in Platone medesimo, una superiore, spirituale upercosmiana, (sopramondana) anima dell’Universo. Ma Brucker, Basnagio, e Le Clerc rigettano questa doppia anima, come una vana fantasia de’ Platonici posteriori.
- ↑ Petavio Dogm. Theol. Tom. II. lib. VIII. c. 2. p. 791. Bull. Def. Fid. Nic. s. 1. c. 1 p. 8, 13. Questa nozione, fino a tanto che non ne fu abusato dagli Arriani, era liberamente ammessa nella Cristiana Teologia. In Tertulliano (adv. Prax. c. 16) si trova un notabile e pericoloso passo. Dopo d’avere poste in contrasto fra loro con indiscreta acutezza le azioni di Jehovah e la natura di Dio, conclude in tal modo: scilicet et haec nec de Filio Dei credenda fuisse, si scripta non essent, fortasse non credenda de Patre, licet scripta.