Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IX.djvu/177

Da Wikisource.

dell'impero romano cap xlviii. 171

vigilanza, e l’accortezza dell’Imperatrice scompigliarono agevolmente i mal combinati disegni. Quei giovani, e i loro instigatori ebbero quella pena d’esilio che avean tentato di dare a lei, o fors’anche gastighi più severi; ebbe il principe ingrato quella punizione che ricevono per lo più i fanciulli. Da quel punto la madre e il figlio formavano due fazioni domestiche, ed ella invece di guidarlo colla dolcezza e di sottometterlo all’obbedienza, senza che se n’accorgesse, tenne incatenato un prigioniero e un nemico. Per abuso di vittoria ella si perdè; il giuramento di fedeltà, che volle per lei sola, fu pronunziato con ripugnanza e con bisbigli; ed avendo le guardie armene avuto il coraggio di negarlo, mosso il popolo da quest’esempio ardito, liberamente e con voti unanimi, dichiarò Costantino VI per legittimo Imperator dei Romani. Con questo titolo prese egli lo scettro, e condannò sua madre alla inazione ed alla solitudine. Allora l’alterigia d’Irene s’abbassò a dissimulare; piaggiò i Vescovi e gli eunuchi; ridestò nel cuore del principe la tenerezza filiale, ne ricuperò la fiducia, e ne deluse la credulità. Non mancava a Costantino nè sentimento, nè coraggio, ma s’era trascurata a bella posta la sua educazione, e l’ambiziosa madre denunziava alla pubblica censura i vizi da lei fomentati, e le azioni da lei consigliate secretamente. Col suo divorzio e con un secondo matrimonio ferì Costantino i pregiudizi degli ecclesiastici, e con un rigore imprudente perdè l’affezione delle guardie armene. Si formò una possente cospirazione per rimettere in trono Irene, e questo segreto, benchè confidato a gran numero di persone, fu per più di otto mesi fedelmente custodito. Finalmente l’Impera-