Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IX.djvu/237

Da Wikisource.

dell'impero romano cap xlviii. 231

le armi, non conosceva paura; la sua persuasiva eloquenza sapeva acconciarsi a tutti gli eventi e a tutti gli stati della vita; aveva formato il suo stile, ma non i costumi, sul modello di S. Paolo: in ogni azion criminosa, non gli mancava mai coraggio a risolvere, destrezza a regolarsi, forza ad eseguire. Morto l’Imperator Giovanni, si ritirò coll’esercito romano. Attraversando l’Asia Minore, mentre, per caso, o a bella posta, girava per le montagne, fu accerchiato da cacciatori turchi, e dimorò per qualche tempo, sia volontario, sia a malgrado suo, in balìa del loro principe. Colle sue virtù, non che co’ suoi vizi acquistò il favore di suo cugino; partecipò ai pericoli, ed ai piaceri di Manuele; e mentre l’Imperatore vivea in un commercio incestuoso con Teodora, godeva Andronico le buone grazie d’Eudossia, sorella della mentovata principessa, che avea ceduto alle sue seduzioni. La quale senza riguardo al decoro del sesso, e della condizione sua, si gloriava del nome di concubina d’Andronico, e la Corte od il campo avrebbero potuto ugualmente testificare, ch’ella dormiva o vegliava in braccio al suo amante. Gli fu compagna quand’egli andò nella Cilicia, che fu il primo teatro del suo valore, come della sua imprudenza. Stringeva egli fortemente d’assedio la piazza di Mopsuesta; passava la giornata a dirigere i più temerari assalti, e la notte a godere della musica e del ballo, ed una truppa di commedianti greci era la parte del suo seguito ch’egli pregiava di più. I suoi nemici, più vigilanti di lui, lo sorpresero con una sortita inprovvisa; ma intanto che le sue milizie fuggivano in gran disordine, Andronico trafiggea coll’invitta sua lancia i più folti battaglioni degli Ar-