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naron via il popolo con le sue abitazioni; e la città d’Alessandria faceva ogni anno la commemorazione di quella fatal giornata, in cui eran perite nell’inondazione cinquantamila anime. Questa calamità, il racconto della quale da una provincia all’altra s’andava magnificando, sorprese e spaventò i sudditi di Roma; e l’atterrita loro immaginazione amplificò la grandezza reale di quel momentaneo flagello. Rifletterono essi ai precedenti terremoti che avevan rovinato le città della Palestina e della Bitinia; risguardarono tali fieri colpi come puri preludi di più terribili calamità; e la timida lor vanità era inclinata a confondere i sintomi di un Impero decadente con quelli della rovina del Mondo1. Era uso di quei tempi l’attribuire qualunque notabile avvenimento al volere speciale della Divinità; le alterazioni della natura dovevano essere connesse, mediante un’invisibil catena, con le opinioni metafisiche e morali della mente umana; ed i più sagaci divinatori sapean distinguere, secondo il colore dei respettivi lor pregiudizi, che lo stabilimento della eresia tendeva a produrre un terremoto, o che un diluvio era l’inevitabile conseguenza del progresso della colpa e dell’errore. Senza pretendere di esaminar la

  1. I terremoti e le innondazioni sono in varie guise descritte da Libanio (Orat. de ulcisc. Juliani nece. c. X. ap. Fabric. Biblioth. Graec. Tom. VII. p. 158 con una dotta nota d’Oleario,) da Zozimo (l. IV. p. 221), da Sozomeno (l. VI. c. 2), da Cedreno (p. 310-314) e da Girolamo (in Chron. p. 186 e Tom. I. p. 250 in vit. Hilarion.). La città d’Epidauro sarebbe restata distrutta, se i prudenti cittadini non avesser posto S. Illarione, monaco Egizio, sul lido. Egli vi fece il segno della croce, la montagna si scosse, si fermò, piegossi, e tornò al suo posto.