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216 storia della decadenza

Massimo, nelle cui venali menti la più tenue speranza di privato guadagno prevaleva a qualunque considerazione di pubblico vantaggio; e la cui reità non era diminuita, che dall’incapacità di conoscere i perniciosi effetti della temeraria e colpevole loro amministrazione. Invece d’ubbidire agli ordini del Sovrano, e di soddisfare con decente liberalità le domande dei Goti, imposero un vile ed opprimente tributo sulle necessità degli affamati Barbari. Vendevasi loro ad un prezzo esorbitante il più basso cibo; ed in luogo di sane e sostanziose provvisioni eran pieni i mercati di carne di cani, e di animali immondi, che erano morti di malattia. Per fare il considerabile acquisto d’una libbra di pane, i Goti si privavano del possesso d’un dispendioso, quantunque utile, schiavo; e volentieri compravasi una piccola quantità di cibo per dieci libbre d’un prezioso, ma inutil metallo1. Quando esaurite furono le loro facoltà, continuarono tale necessario commercio con la vendita dei loro figli e delle figlie; e non ostante l’amor della libertà, che animava ogni petto Gotico, si sottoposero alla massima umiliante, che era meglio pei loro figliuoli di esser mantenuti in una condizione servile, che perire in uno stato di misera e disperata indipendenza. Viene eccitato il risentimento più vivo dalla tirannia di

  1. Decem libras: bisogna sottintendervi la parola d’argento. Giornandes manifesta le passioni ed i pregiudizi di un Goto. I servili Greci Eunapio e Zosimo mascherano l’oppressione Romana, ed abominano la perfidia dei Barbari. Ammiano, Istorico patriotico, tocca leggermente e contro voglia quest’odioso soggetto. Girolamo, che scrisse quasi sul luogo, è sincero, quantunque breve: Per avaritiam Maximi Ducis ad rebellionem fame coacti sunt: in Chron.