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330 storia della decadenza

Vescovo, ed all’eloquenza del Senatore Ilario, amico e probabilissimamente discepolo di Libanio; i talenti del quale non furono in quella trista occasione inutili alla sua patria1. Ma le due capitali Antiochia e Costantinopoli eran fra loro distanti ottocento miglia; e nonostante la diligenza delle poste Imperiali, la colpevol città restò severamente punita da una lunga e terribile sospensione. Ogni romore agitava le speranze ed i timori degli Antiocheni; ed udirono con terrore, che il loro Sovrano, esacerbato dall’insulto fatto alle proprie statue, e più specialmente a quelle della diletta sua moglie, avea risoluto di far livellare al suolo quella delinquente città e trucidarne senza distinzione di età o di sesso i colpevoli abitatori2, molti dei quali erano già tratti dalle loro apprensioni a cercare un rifugio nelle montagne della Siria, e nel vicino deserto. Finalmente, ventiquattro giorni dopo la sedizione, il Generale Ellebico, e Cesario Maestro degli Uffizi dichiararono la volontà dell’Imperatore, e la sentenza d’Antiochia. Quella superba Capitale restò degradata dallo stato di città; e la metropoli dell’Oriente, spogliata delle sue terre, dei suoi privilegi e delle sue rendite, fu sottoposta, coll’umiliante denominazion di villaggio, alla giurisdizione di Laodi-

  1. Zosimo nel suo breve e non ingenuo racconto (l. IV. p. 258. 259), erra sicuramente in mandare Libanio stesso a Costantinopoli. Le proprie orazioni di lui indicano, che restò in Antiochia.
  2. Libanio (Orat. I. p. 6. Edit. Venet.) dichiara, che sotto un regno di quella sorte, il timor del macello era senza fondamento ed assurdo, specialmente, nell’assenza dell’Imperatore, poichè la sua presenza, secondo l’eloquente schiavo, avrebbe potuto legittimare gli atti più sanguinosi.