Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/355

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dell'impero romano cap. xxvii. 351

eccettuata quella forte sicurezza, che nelle circostanze più disperate un animo indipendente può trarre dal disprezzo della fortuna e della vita. Si celebrava il trionfo d’Eugenio dall’insolente e dissoluta gioia del suo campo, mentre l’attivo e vigilante Arbogaste segretamente distaccava un corpo considerabil di truppe ad oggetto d’occupare i passi dei monti, e circondare la retroguardia dell’esercito Orientale. Allo spuntare del giorno, Teodosio vide la grandezza e l’estremità del pericolo: ma ne furon tosto dissipati i timori da un amichevol messaggio, spedito dai condottieri di quelle truppe, che gli espose l’inclinazione che avevano d’abbandonare lo stendardo del Tiranno. Furono senza esitare accordati gli onorevoli e lucrosi premi che essi richiesero in prezzo del lor tradimento; e siccome non si poteva facilmente aver foglio ed inchiostro, l’Imperatore sottoscrisse sul suo medesimo libretto de’ ricordi la ratifica del trattato. Si ravvivò da quest’opportuno rinforzo lo spirito dei suoi soldati; e con nuovo coraggio marciarono a sorprendere il campo di un Tiranno, i primi Uffiziali del quale pareva che diffidassero o della giustizia o del buon successo delle sue armi. Nel calor della pugna, ad un tratto, come suole spesso accadere fra le alpi, si suscitò dall’Oriente una furiosa tempesta. L’esercito di Teodosio era difeso per la sua situazione dall’impetuosità del vento, che gettò un nuvol di polvere in faccia ai nemici, disordinò le loro file, fece cadere loro i dardi di mano, e rispinse o diresse altrove gli inefficaci lor giavellotti. Si trasse abilmente profitto di quest’accidental vantaggio: la violenza della tempesta fu magnificata dai superstiziosi terrori dei Galli, i quali cederono senza vergogna all’invisibil potere