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142 storia della decadenza

o dal lavoro delle proprie mani, formano per ordinario la più feconda, la più utile, ed in questo senso la più rispettabile parte della società. Ma i plebei di Roma, che sdegnavano tali sedentarie e servili arti, si eran trovati oppressi fino dai più antichi tempi dal peso del debito e dell’usura, e l’agricoltore, nel tempo del suo servizio militare, era costretto ad abbandonar la cultura delle sue terre1. I terreni dell’Italia che a principio erano stati divisi fra le famiglie di liberi ed indigenti proprietari, appoco appoco furono comprati o usurpati dall’avarizia dei nobili, e nel secolo, che precedè la rovina della Repubblica, fu calcolato, che solo duemila cittadini possedevano qualche fondo indipendente2. Pure finattantochè il popolo dava co’ suoi voti gli onori dello Stato, il comando delle legioni, e l’amministrazione di ricche Province, l’orgogliosa soddisfazione che ne risentiva, sollevava in qualche modo i travagli della povertà; ed i bisogni dei plebei venivano diminuiti opportunamente dall’ambiziosa liberalità dei candidati, che aspiravano ad assicurarsi una venale pluralità di voti nelle trentacinque

  1. Le storie di Livio (vedi specialmente lib. VI c. 36) son piene dell’estorsioni dei ricchi, e delle angustie dei poveri debitori. La patetica istoria di un bravo antico soldato (Dionis. Alicanass. l. V. c. 26. pag. 347. Ediz. d’Hudson. e Livio II. 23) deve essersi frequentemente ripetuta in quei primi tempi, che tanto immeritamente si son lodati.
  2. Non esse in civitate duo millia hominum, qui rem haberent: Cicero, Off. II. 21. col Coment. di Paolo Manuz. ediz. del Grevio. Questo indeterminato calcolo fu fatto l’anno di Roma 649 in un discorso dal Tribuno Filippo, ed il sue scopo non meno che quello dei Gracchi (vedi Plutarco) era di deplorare e forse d’esagerare la miseria della plebe.