Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/164

Da Wikisource.
158 storia della decadenza

ritirata dalle mura di Roma: cioè tutto l’oro e l’argento che si trovava nella città, o appartenesse allo Stato, o ai particolari; tutti i mobili ricchi e preziosi; e tutti gli schiavi, che avesser potuto provare d’aver diritto al nome di Barbari. I ministri del Senato ardirono di domandare in un tuono modesto e supplichevole: „Se tali, o Re, sono le vostre domande, che cosa volete lasciare a noi?„ „Le vostre vite„ replicò il superbo conquistatore: tremarono essi, e si ritirarono. Pure avanti che tornassero indietro fu accordata una breve sospensione di armi, che dava qualche tempo per una più temperata negoziazione. Il duro sembiante d’Alarico appoco appoco ammollissi; egli diminuì molto il rigor dei suoi termini, ed alla fine acconsentì di toglier l’assedio mediante il pagamento fatto subito di cinquemila libbre d’oro, di trentamila libbre d’argento, di quattromila vesti di seta, di tremila pezze di panno scarlatto fine, e di tremila libbre di pepe1. Ma era esausto il pubblico tesoro: le annue rendite dei gran fondi, tanto in Italia, quanto nello Province, erano sospese dalle calamità della guerra; l’oro e le gemme nel tempo della penuria si erano cambiate coi cibi più vili; le private ricchezze erano tuttavia tenute nascoste dall’ostinazione degli avari; ed alcuni residui di sacre spoglie furono l’u-

  1. Il pepe era un ingrediente favorito della più sontuosa cucina Romana, e la sorte migliore di esso vendevasi quindici denarii, o dieci scellini la libbra. Vedi Plinio, Hist. Nat. XII. 14. Era portato dall’India; ed il medesimo paese, cioè la costa del Malabar, tuttavia ne somministra la più grande abbondanza: ma il perfezionamento del commercio e della navigazione ha moltiplicato la quantità e diminuito il prezzo di esso. Vedi Hist. Polit. et Philos. ec. Tom. I. p. 457.