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va condotto, a’ pressanti suoi inviti, dalle rive del Danubio a quelle del Tevere; e che si erano aperta la strada con qualche difficoltà e perdita fra mezzo ad un superior numero di truppe Imperiali. Un vittorioso Capitano, che univa l’audace spirito di un Barbaro con l’arte e la disciplina di un Generale Romano, trovavasi alla testa di centomila combattenti; e l’Italia pronunziava con terrore e rispetto il nome formidabile d’Alarico.1

[A. 409] Alla distanza di quattordici secoli, noi possiamo esser contenti di riferire le imprese militari dei Conquistatori di Roma senza presumere d’investigare i motivi della politica loro condotta. Alarico, in mezzo alla sua apparente prosperità, conosceva forse qualche segreta debolezza, qualche interno difetto; o forse la moderazione, che dimostrava, tendeva solo a deludere e disarmare la facile credulità dei ministri d’Onorio. Il Re dei Goti dichiarò più volte, che egli desiderava d’esser considerato come l’amico della pace e de’ Romani. Alle sue più premurose istanze furono mandati tre Senatori alla Corte di Ravenna per sollecitare il cambiamento degli ostaggi e la conclusione del trattato; e le proposizioni, che egli più chiaramente espresse nel corso della negoziazione, possono soltanto inspirare dubbio sulla sua sincerità, come quelle che male sembrano accordarsi collo sembrare incoerenti

    bre nome d’Adolfo, che sembra essere autorizzato dalla pratica degli Svedesi, figli o fratelli degli antichi Goti.

  1. Il trattato fra Alarico ed i Romani ec. è preso da Zosimo lib. V. p. 354, 355, 358, 359, 362, 363. Le circostanze, che vi si potrebbero aggiungere, sono troppo poche e di piccola importanza per esigere qualche altra citazione.