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commercio, fu destinata per luogo dell’assemblea, la quale ogni anno regolarmente durava ventotto giorni, dal quindici d’Agosto fino al tredici di Settembre. Era composta dal Prefetto del Pretorio delle Gallie, dai sette Governatori Provinciali, uno consolare, e sei Presidenti; dai Magistrati, e forse dai Vescovi di circa sessanta città; e da un competente, quantunque indeterminato numero dei più onorevoli ed opulenti possessori di terre, che potessero giustamente considerarsi come i rappresentanti del loro paese. Avevano essi la facoltà d’interpretare e di comunicar le leggi del loro Sovrano; di esporre gli aggravj e i desiderj dei loro costituenti; di moderare l’eccessivo o disugual peso delle tasse; e di deliberare sopra ogni materia d’importanza locale o nazionale, che potesse tendere a restituir la pace e la prosperità delle sette Province. Se tale instituto, che faceva prendere al Popolo un interesse nel proprio loro governo, si fosse universalmente stabilito da Traiano o dagli Antonini, si sarebbero potuti apprezzare e propagare nell’Impero di Roma i semi della virtù e della saviezza pubblica; i privilegi del suddito avrebbero assicurato il trono del Monarca; si sarebbero potuti in qualche modo impedire o corregger gli abusi d’un’amministrazione arbitraria, mediante l’interposizione di quei corpi rappresentativi; ed il paese sarebbe stato difeso contro i nemici stranieri, dalle armi dei liberi nazionali. Sotto il dolce e generoso influsso della libertà, il Romano

    Viennense, le Alpi marittime, la prima e seconda Narbonese, la Novempopulonia, e la prima e seconda Aquitania. In luogo della prima Aquitania, l’Abate Dubos, sull’autorità d’Incmaro, brama d’introdurvi la prima Lugdunense o Lionese.