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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/344

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338 storia della decadenza

uomo di campagna, che si era doluto della colpevole famigliarità fra la propria moglie ed un soldato Goto, fu ordinato di portarsi al suo tribunale il giorno seguente: la sera il Conte, che s’era diligentemente informato del tempo e del luogo del congresso, montò a cavallo, fece dieci miglia di cammino, sorprese la colpevole coppia, punì coll’immediata morte il soldato, e quietò i lamenti del marito con presentargli, la mattina dopo, la testa dell’adultero. L’abilità d’Ezio e di Bonifazio avrebbe potuto essere utilmente impiegata contro i pubblici nemici in separati ed importanti comandi; ma l’esperienza della passata loro condotta avrebbe dovuto decidere il real favore e la fiducia dell’Imperatrice Placidia. Nell’infelice occasione dell’esilio e dell’angustie di essa, il solo Bonifazio avea sostenuto la sua causa con intrepida fedeltà; e le truppe ed i tesori dell’Affrica essenzialmente avevan contribuito ad estinguere la ribellione. L’istessa ribellione, al contrario, s’era sostenuta dallo zelo e dall’attività d’Ezio, che condusse un’armata di sessantamila Unni dal Danubio a’ confini dell’Italia, in servizio dell’Usurpatore. L’inopportuna morte di Giovanni lo costrinse ad accettare un vantaggioso trattato; ma sempre continuò, quantunque suddito e soldato di Valentiniano, a tenere una segreta e forse perfida corrispondenza co’ Barbari suoi alleati, la ritirata de’ quali erasi comprata con liberali doni, e con più liberali promesse. Ma Ezio aveva un vantaggio di singolare importanza nel regno d’una donna: egli era presente: assediava con artificiosa ed assidua adulazione il palazzo di Ravenna; cuopriva gli oscuri suoi disegni con la maschera della lealtà e dell’amicizia; e finalmente ingannò la sua Signora, quanto l’assente di lui