Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/383

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dell'impero romano cap. xxxiv. 377

sero, che il Vescovo di Margo era entrato nel loro territorio per iscoprire e rubare un tesoro nascosto de’ loro Re; e vigorosamente richiedevano il colpevol Prelato, la sacrilega preda ed i sudditi fuggitivi, che s’eran sottratti alla giustizia d’Attila. Il rifiuto della Corte di Bizanzio fu il segnal della guerra; ed i Mesj a principio applaudirono la generosa fermezza del loro Sovrano. Ma furono tosto spaventati dalla distruzione di Viminiaco e delle vicine città; ed il Popolo fu persuaso ad abbracciare l’utile massima, che può giustamente sacrificarsi un cittadino privato, per quanto sia rispettabile ed innocente, alla salvezza della patria. Il Vescovo di Margo, che non aveva lo spirito d’un martire, risolvè di prevenire i disegni, che sospettava. Egli trattò arditamente co’ Principi degli Unni, si assicurò per mezzo di solenni giuramenti del perdono e del premio; pose un numeroso distaccamento di Barbari in una segreta imboscata sulle rive del Danubio; ed all’ora stabilita aprì con le proprie mani le porte della sua città Episcopale. Questo vantaggio, che s’era ottenuto per tradimento, servì come di preludio a più onorevoli e decisive vittorie. La frontiera Illirica era coperta da una catena di castelli e di fortezze; e quantunque la maggior parte di esse non fossero che semplici torri con una piccola guarnigione, ordinariamente servivano a rispingere o impedire le scorrerie d’un nemico, che non sapeva l’arte d’un assedio regolare, e non ne tollerava la lunghezza. Ma questi piccoli ostacoli furono tolti ad un tratto di mezzo dall’inondazione degli Unni1. Essi distrussero col

  1. Procop. de aedific. l. IV. c. 9. Queste fortezze furono di poi restaurate, fortificate ed ampliate dall’Imperator Giu-