Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/559

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dell'impero romano cap. xxxvi. 553

e dell’Affrica; il numero degli abitanti andò continuamente scemando insieme co’ mezzi della sussistenza; ed il paese restò esausto per le irreparabili perdite della guerra, della fame1 e della peste. S. Ambrogio ha deplorato la rovina d’un popolato tratto di paese, che una volta era ornato dalle floride città di Bologna, di Modena, di Reggio, e di Piacenza2. Gelasio Papa era suddito d’Odoacre; ed asserisce con una forte esagerazione, che nell’Emilia, nella Toscana, e nell’addiacenti Province era quasi estirpata la specie umana3. I plebei di Roma, ch’eran nutriti dalle mani del loro Signore, perirono o si dispersero, tostochè mancò la liberalità di esso; la decadenza delle arti ridusse l’industrioso meccanico all’oziosità, ed al bisogno; ed i Senatori, che avrebbero potuto sopportar con pazienza la rovina della patria loro, piangevano la perdita privata delle proprie ricchezze e del lusso. Un terzo di quelle vaste possessioni, alle quali si attribuisce in origine la rovina dell’Italia4, fu riservato pei conquistatori. Le ingiurie s’aggravavano dagli

  1. È descritta eloquentemente in prosa ed in versi da un Poeta Francese (Les mois Tom. 2. p, 174-206. Edit. in 12) una carestia, che afflisse l’Italia nel tempo dell’irruzione d’Odoacre Re degli Eruli. Io non so donde abbia egli tratto le sue notizie; ma son certo, che racconta de’ fatti incompatibili con la verità dell’Istoria.
  2. Vedasi la lettera 39 di S. Ambrogio, qual è citata dal Muratori nelle Antichità Italiane Tom. I. Diss. XXI. p. 354.
  3. Aemilia, Tuscia, ceteraeque provinciae, in quibus hominum prope nullus existit. Gelas. Epist. ad Andromachum ap. Baron. Annal. Eccl. An. 496, n. 36.
  4. Verumque confitentibus lati fundia perdidere Italiam. Plin. Hist. natur. XVIII. 7.