Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VII.djvu/15

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dell'impero romano cap. xxxvii. 9

distribuì il suo patrimonio1, abbandonò la propria famiglia, e la casa nativa, e compì la sua monastica penitenza con originale ed intrepido fanatismo. Dopo un lungo e penoso noviziato fra’ sepolcri, e in una torre rovinata, s’avanzò arditamente nel deserto per tre giornate di cammino all’oriente del Nilo; scoprì un luogo solitario, che aveva i vantaggi dell’ombra e dell’acqua, e fermò l’ultima sua dimora sul monte Colzim, vicino al Mar Rosso, dove un antico monastero tuttavia conserva il nome, e la memoria del Santo2. La curiosa devozione de’ Cristiani lo seguitò fino al deserto; e quando fu costretto a comparire in Alessandria in faccia al Mondo, sostenne la sua fama con dignità, e discretezza. Ei godè l’amicizia d’Atanasio, di cui approvò la dottrina; e l’Egizio abitator delle selve rispettosamente evitò un rispettoso invito dell’Imperator Costantino. [A. 350-456] Il venerabile Patriarca {{Pt|(poi-|}

    con alcuni probabili argomenti, che Antonio sapeva leggere e scrivere nella Copta sua lingua nativa, ed era solo ignorante della letteratura Greca. Il Filosofo Sinesio (p. 51) confessa, che il naturale ingegno d’Antonio non aveva bisogno dell’aiuto della scienza.

  1. Arurae autem erant ei trecentae uberes, et valde optimae (vit. Patr. l. 1. p. 36). Se l’arura è lo spazio di cento cubiti Egizi quadrati (Rosweyde onomastich. ad vit. Patr. p. 1014, 1015), ed il cubito Egiziano di tutti i tempi è uguale a ventidue pollici inglesi (Graves vol. 1. p. 233) l’arura conterrà circa tre quarti d’un acro inglese.
  2. Si fa la descrizione del Monastero da Girolamo (T. 1. pag. 248, 249. in vit. Hilarion.) e dal P. Sicard (Missions du Levant. Tom. I. pag. 122, 200). Tali descrizioni però non sempre si posson conciliare fra loro. Il S. Padre lo dipinse secondo la sua fantasia, ed il Gesuita secondo la sua esperienza.