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l’altro, e verso lo Stato, era confermata dall’abitudine dell’educazione, e da’ pregiudizi della Religione. L’onore, ugualmente che la virtù, era il principio della Repubblica: gli ambiziosi cittadini cercavano di meritare la solenne gloria d’un trionfo; e l’ardore della gioventù Romana s’accendeva ad un’attiva emulazione ogni volta che vedevano le domestiche immagini de’ loro maggiori1. Le contese temperate dei Patrizi e de’ Plebei avevan finalmente fissato la stabile, ed ugual bilancia della costituzione, che riuniva la libertà delle assemblee popolari, coll’autorità e saviezza d’un Senato, e coll’esecutiva potenza d’un Magistrato Reale. Quando il Console spiegava la bandiera della Repubblica, ogni Cittadino si legava, mediante l’obbligazione d’un giuramento, ad impiegar la sua spada nella causa della Patria, finattantochè non avesse soddisfatto a questo sacro dovere con un servizio militare di dieci anni. Questo savio istituto continuamente versava nel campo nuove generazioni di uomini liberi e di soldati: e se ne rinforzava il numero da’ guerrieri e popolati Stati d’Italia, che dopo una forte resistenza, avevan ceduto al valore, ed abbracciato l’alleanza de’ Romani. Il savio Storico, che eccitò la virtù di Scipione il giovane, e vide la rovina di Cartagine2, ha descritto accuratamente il

  1. Sallust., De Bell. Jugurtin. cap. 4. Tali erano le generose proteste di P. Scipione e di Q. Massimo. L’Istorico latino avea letto, e probabilissimamente trascrisse Polibio, loro contemporaneo ed amico.
  2. Mentre Cartagine si trovava in mezzo alle fiamme, Scipione ripeteva due versi dell’Iliade, ch’esprimono la distruzione di Troia, confessando a Polibio, suo amico e precettore (Polyb., in Excerpt. de virtut. et vit. T. II p. 1455, 1465),