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18 storia della decadenza

La professione monastica degli antichi1 era un atto di volontaria devozione. L’incostante fanatico era minacciato bensì dell’eterna vendetta di quel Dio, che abbandonava; ma le porte del Monastero eran sempre aperte al suo pentimento. Que’ Monaci, la coscienza de’ quali era invigorita dalla ragione, o dalla passione, erano liberi di ripigliare il carattere di uomini e di cittadini, ed anche le spose di Cristo potevano ricevere i legittimi abbracciamenti d’un amatore terreno2. Gli esempi di scandalo, ed il progresso della superstizione suggerirono la convenienza di più forti legami. Dopo una sufficiente prova, si assicurava la fedeltà del novizio mediante un solenne e perpetuo voto, e veniva ratificato l’irrevocabil suo vincolo dalle Leggi della Chiesa, e dello Stato. Un reo fuggitivo

    l’obbligazione de’ pubblici e privati doveri: ma dal torrente della superstizione furono portati via i deboli ripari: e Giustiniano sorpassò i più ardenti desiderj de’ Monaci (Thomassin. Tom. I. p. 1782, 1799, e Bingham. L. VIII. c. 3. p. 253).

  1. Furon descritti, verso l’anno 400, gl’Istituti Monastici, particolarmente quelli d’Egitto, da quattro curiosi e devoti viaggiatori; cioè da Ruffino (Vit. Part. l. 1I. III. p. 424, 536), da Postumiano (Sulp. Sever. Dialog. I), da Palladio (Hist. Lausiac. in vit. Patrum p. 709, 863) e da Cassiano (Vedi nel tom. VII. Biblioth. maxim. Patr. i primi suoi quattro libri degl’Istituti, ed i ventiquattro delle Collazioni o Conferenze).
  2. L’esempio di Malco (Girolamo Tom. I. p. 256), ed il disegno di Cassiano, e del suo amico (Collat. 24, 1) sono incontrastabili prove della lor libertà, che è descritta elegantemente da Erasmo nella vita che ha fatto di S. Girolamo. (Vedi Chardon Hist. des Sacremens Tom. VI. p. 379, 300).