Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VII.djvu/34

Da Wikisource.
28 storia della decadenza

delle ricchezze, che si erano acquistate dalle austere virtù de’ lor fondatori1. Il loro natural passaggio, da tal penosa e pericolosa virtù, a’ vizi comuni dell’umanità, non ecciterà forse grande avversione o sdegno nella mente d’un Filosofo.

I primitivi Monaci consumavan la loro vita in penitenza e solitudine, senza esser disturbati dalle varie occupazioni, che impiegano il tempo, ed esercitan le facoltà degli enti ragionevoli, attivi e sociali. Quando veniva loro permesso di andare fuori del Monastero, due gelosi compagni erano sempre vicendevoli guardie, e spie delle azioni l’uno dell’altro; ed al loro ritorno erano condannati a dimenticare, o almeno a sopprimere tutto ciò, che avevan veduto, o udito nel Mondo. Si ricevevan ospitabilmente in un quartiere separato i forestieri, che professavan la fede ortodossa; ma non si permetteva la pericolosa loro conversazione, che ad alcuni scelti vecchi di approvata discretezza e fedeltà. Il Monastico schiavo non potea ricever le visite de’ suoi amici, o congiunti, che in loro presenza; e si stimava sommamente meritorio, se af-

    in uno di femmine. Il settimo Concilio generale (il Niceno II. Can. 20. ap. Bevereg. Tom. I. p. 325) vieta i Monasteri doppi, o promiscui di ambidue i sessi; ma si rileva da Balsamone, che tal proibizione non fu efficace. Sopra i piaceri, e le spese irregolari del Clero, e de’ Monaci, Vedi Tommassin. Tom. III. p. 1334, 1368.

  1. Io ho udito, o letto in qualche luogo questa sincera confessione d’un Abbate Benedettino: „Il mio voto di povertà mi ha dato centomila scudi l’anno; il mio voto di ubbidienza mi ha inalzato al grado di Principe Sovrano.„ Mi son dimenticato delle conseguenze del suo voto di castità.